martedì 17 novembre 2015

Analisi del terrorismo. Un libro di Massimo Introvigne sul fondamentalismo dalle origini all'Isis


Del libro Il fondamentalismo dalle origini all'Isis
di Massimo Introvigne (Sugarco, Milano 2015), 
pubblichiamo alcuni passi dell'Introduzione dell'autore. 

Un fantasma si aggira per il mondo, e non si tratta più del comunismo. Parafrasando Karl marx (1818-1883), si può ben dire che il mondo sia oggi inquietato da un oscuro fantasma, e che lo chiami «fondamentalismo». Il «fondamentalismo» è emerso come uno dei principali temi nell’ambito sia della sociologia delle religioni, sia della geopolitica, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, e il riemergere di conflitti che la logica di un mondo diviso in due blocchi aveva, se non sopito, almeno messo tra parentesi.

Questo studio si divide in due parti. Nella prima, si chiede se sia possibile proporre una teoria del «fondamentalismo» dal punto di vista della sociologia delle religioni e nell’ambito della teoria sociologica detta dell’economia religiosa. nella seconda, propone un’applicazione della griglia teorica e metodologica proposta nella prima parte al «fondamentalismo» islamico. 
Questa ricerca si muove nell’ambiente metodologico della teoria dell’economia religiosa, illustrato tra l’altro nell’opera di Rodney Stark e mia apparsa in italia con il titolo Dio è tornato. Indagine sulla rivincita delle religioni in Occidente (2003). La teoria si articola in tre tesi principali. La prima è riassunta brevemente in questa introduzione. La seconda predispone un insieme di utensili metodologici adatti ad affrontare la questione del « fon- damentalismo » ed è illustrata nel primo capitolo di questo volume. La terza è l’argomento specifico della presente ricerca.

La prima delle tesi che, nel loro insieme, vanno a costituire la teoria dell’economia religiosa è che i movimenti religiosi hanno molto spesso cause e motivazioni religiose. Il marxismo, la psicoanalisi e la critica della cultura di massa da parte della scuola di Francoforte hanno convinto generazioni di studiosi che i fenomeni che si presentano come religiosi sono spesso solo la maschera di fattori materiali. Friedrich Engels (1820-1895), il più stretto collaboratore di Karl marx, spiegava nell’Antidühring (1878) che ogni reli- gione non è altro che il riflesso fantastico nella testa degli uomini di potenze esterne che dominano la loro esistenza quotidiana, come le condizioni economiche e i mezzi di produzione [...]. 
Questa prima tesi è diventata particolarmente pertinente dopo che è venuto meno il congelamento dei conflitti regionali durante la guerra fredda, in cui tutto era ridotto alla domanda: «Stai con i sovietici o con gli americani?». Sono così riemersi scontri locali che la guerra fredda aveva nascosto, ma non risolto. Questi conflitti hanno certamente componenti nazionali, etniche, politiche, economiche, ma molto spesso hanno anche un’importante componente religiosa. Secondo Juergensmeyer (1994; 2008) sono i « nazionalismi religiosi » i protagonisti di una «seconda guerra fredda» scoppiata dopo la fine della prima. Il testo di Samuel Huntington sullo scontro di civiltà, The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order (1996), è spesso più criticato che letto. Anche se un esame attento dell’aspetto religioso invita a integrare la griglia interpretativa dello scontro tra civiltà con ipotesi di scontri all’interno delle civiltà, l’insegnamento che si può trarre da Huntington – al di là delle mode culturali e delle controversie – è che gli elementi che fanno riferimento alle nozioni di civiltà e di cultura – quindi anche di religione – sono riemersi in tutta la loro ineludibile pregnanza dopo la fine della guerra fredda. 
La seconda tesi della teoria dell’economia religiosa è che i processi di modernizzazione non determinano necessariamente il venire meno della presenza della religione, ma sono compatibili, a determinate condizioni, con la tenuta e perfino con la crescita delle credenze e delle appartenenze religiose. È su questo punto che al «vecchio paradigma» della secolarizzazione si oppone un «nuovo paradigma»: un’espressione coniata da Warner (1993), ma che comprende peraltro anche teorie diverse dalla religious economy
La terza tesi della teoria della religious economy ha raccolto in Europa – e negli stessi Stati Uniti – minori consensi rispetto alla seconda, benché – come vedremo – sia supportata da solidi dati empirici. Si tratta della tesi, «scandalosa» e politicamente scorretta, secondo cui la religione – sempre se si verificano determinate condizioni – che «tiene» o cresce nelle società moderne e postmoderne non è, come si potrebbe a prima vista credere, la religione «progressista» che cerca di adattarsi alla modernità, ma è al contrario la religione «conservatrice», che con diversi elementi della modernità è in evidente contrasto [...].


Se sia il «fondamentalismo» a «vincere» nel mercato religioso contemporaneo o non invece un insieme di organizzazioni che presentano gradi diversi di conservatorismo religioso – una nozione, a sua volta, da precisare –, non tutte definibili come «fondamentaliste», è il quesito affrontato nel terzo capitolo. È una questione che dipende dalla definizione e dalla descrizione del «fondamentalismo», tema come si vedrà fra i più scivolosi e inafferrabili, per di più inquinato da un uso «politico» e polemico del termine. Il capitolo introduce anche la nozione di «ultra-fondamentalismo» con riferimento a gruppi di tipo estremista e radicale, alcuni dei quali ricorrono alla violenza e al terrorismo.
La seconda parte del volume propone un esempio di applicazione della teoria esposta nella prima parte al caso dell’islam contemporaneo. Il quarto capitolo studia le caratteristiche specifiche del mercato religioso nei paesi a maggioranza islamica, e sostiene che risponde, in una certa misura e tenuto conto delle sue peculiarità, alle stesse logiche di altri mercati religiosi. Pertanto, anche nel mercato religioso intra-islamico, a mano a mano che avanzano i processi di modernizzazione è possibile che si verifichi il fenomeno imprevisto o almeno non previsto – e certo imprevedibile da parte dei teorici della secolarizzazione – secondo cui movimenti conservatori « vincono» e tentativi progressisti «perdono». Applicando, ancora, ipotesi terminologiche proposte nella prima parte il capitolo si chiede anche se l’espressione «fondamentalismo» sia idonea a rendere ragione di un ampio e variegato arco di organizzazioni islamiche, e se sia giusto riunirle sotto una sola etichetta. La conclusione è che anche nel mondo islamico, compreso quello dell’emigrazione, l’etichetta « fondamentalismo » copre tre diversi tipi di realtà: conservatrici, fondamentaliste in senso stretto e ultra-fondamentaliste. La teoria dell’economia religiosa prevede il maggiore successo, in condizioni normali, delle organizzazioni conservatrici rispetto a quelle fondamentaliste, e una presenza relativamente limitata dei movimenti ultra-fondamentalisti. Nel mercato religioso intra-islamico sembrerebbe che le cose vadano diversamente, almeno in certi paesi: occorre chiedersi se le cose stanno davvero così, e in caso affermativo perché.
Il quinto capitolo esamina la nicchia «ultra-fondamentalista» o radicale all’interno dell’islam – con un parallelo su come la stessa nicchia si presenta all’esterno del mondo islamico, in particolare nei nuovi movimenti religiosi –, e i suoi rapporti con la teoria dell’economia religiosa. Il capitolo comprende una discussione su come da una parte «economie religiose di guerra», dall’altra «economie di guerra alla religione» in cui lo stato si oppone attivamente alla religione, alterino il mercato religioso e, con un processo di eterogenesi dei fini, finiscano per favorire proprio quelle organizzazioni più estremiste che lo stato intendeva reprimere.
È quindi proposta una riflessione sul terrorismo, nelle diverse forme che assume in organizzazioni come Hamas, al-Qā’ida e l’isis. la conclusione è che questo fenomeno – contrariamente a quanto molti pensano – da una parte conferma l’ipotesi che gli effetti che si presentano come religiosi hanno spesso cause religiose. Dall’altra, è a sua volta compatibile con processi anche avanzati di modernizzazione di paesi e comunità islamiche, in cui si inserisce e di cui da un certo punto di vista, ben lungi dall’essere un retaggio di tipo arcaico, è piuttosto una conseguenza. La seconda parte della ricerca propone anche la tesi secondo cui una lettura inadeguata delle caratteristiche del mercato religioso intra-islamico, e una previsione delle sue possibili evoluzioni ancorata alla teoria classica della secolarizzazione, sono state e per certi versi rimangono all’origine di gravi errori di carattere politico da parte di governi e istituzioni occidentali.
L’appendice offre, in traduzione italiana, due documenti decisivi per la questione del terrorismo: L’ultima notte, la «guida» pratica e spirituale che ciascuno dei partecipanti all’attacco dell’11 settembre 2001 aveva ricevuto prima di imbarcarsi sugli aerei, e i Consigli agli emigranti, consegnati a partire dal 2014 dall’Isis a coloro che intendono partire – anche dall’Italia – per andare a combattere e morire con le truppe del califfato in Siria e in Iraq.

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