sabato 25 aprile 2015

IL PONTE E LE PIETRE. Di Giancarlo Ricci

L’Occidente pare proprio non abbia più storicamente la posizione di prima, non soltanto per una questione economica, per l’ampliarsi di nuovi e agguerriti mercati, bensì anche per lo sfaldamento di una cultura e di una civiltà che non riesce più a parlare la lingua del presente e pertanto nemmeno quella del futuro. Il nostro tempo stenta a disegnare un’illusione dell’avvenire, proprio per il fatto che un’avvenire dell’illusione appare opaco e difficilmente progettabile. Questa incapacità non giunge a caso. E’ l’effetto prevedibile di una prolungata e organizzata sconfessione. Quando un individuo o una civiltà non hanno più memoria di sé, non possono progettare alcun futuro. 
Magritte, il ponte di Eraclito
Quando Freud nel saggio l’Avvenire di un’illusione parla del destino della civiltà - siamo nel 1927 agli albori del nazismo - a un certo punto si inoltra in un’inquietante constatazione: “Giungiamo così alla strana conclusione che proprio le informazioni del nostro patrimonio culturale che potrebbero rivestire il massimo significato e alle quali è affidato il compito di chiarirci proprio queste informazioni e riconciliarci con i dolori dell’esistenza, hanno la più debole delle convalide”. Parole che alludono alle sottili incidenze della pulsione di morte. Storicamente conosciamo le multiformi manifestazioni, su scala geopolitica, delle sue devastanti distruzioni. Qui davvero l’eros della distruzione e il tema del male  andrebbero indagati nei loro elementi basilari tenendo conto del funzionamento dell’inconscio. “L’uomo - afferma Dostoevskij - ama creare e aprirsi delle strade, su questo non c’è dubbio. Ma allora perché ama così appassionatamente anche la distruzione e il caos?”  


Salvator Dalì, Il ponte dei sogni crollati
Noi, costruttori di ponti? Eppure il nostro ponte, la nostra civile quotidianità, sembrava reggere qualsiasi passaggio. Sembrava indistruttibile il nostro ponte costruito in pietre. Cosa sono queste pietre? Sono le pietre fatte della stessa stoffa di una parola che in qualche modo ha saputo tenere insieme l’uomo e il mondo, i legami e i pensieri, la tecnica e la civiltà, la legge e la giustizia. Queste pietre oggi sono ormai i residui usurati di un legame simbolico che non sa più stare insieme, che ha perso la sua capacità di reggere e di tenere, di progettare e di spingersi oltre. Basta una sola pietra sconnessa e l’intera arcata vacilla. Se l’arcata vacilla ce n’è per tutti. Per i laicisti e per i chierici. Parodiando l’Amleto di Shakespeare: chi sfuggirà alla frusta? Chi sfuggirà  alla frusta quando il reale della storia farà la sua apparizione?, si chiede Heinrich von Kleist, “l’arcata non sprofonda, dato che è senza appoggio? E risponde: “Regge perché tutte le pietre vogliono precipitare in una sola volta”. L’arcata è stata costruita accostando le varie pietre con un’inclinazione tale per cui una pietra si appoggia all’altra, la sostiene. E tanto più una pietra vuole precipitare tanto più sostiene le altre. Metafora sublime perché coniuga il precipitare con il tenere, lo sprofondamento con l’innalzamento, e si sofferma sulla linea dell’orizzonte quale linea che congiunge due abissi, il mare e il cielo. Il riferimento all’orizzonte è imprescindibile alla navigazione e consente, con l’uso della bussola, che la barca possa prendere il largo e correre il mare.