giovedì 12 dicembre 2013

L'ATTO DI BENEDETTO XVI E L'ESORDIO DI FRANCESCO di Tiberio Crivellaro


Pubblichiamo l'articolo di Tiberio Crivellaro uscito nella pagina culturale del quotidiano LA SICILIA (9.12.13) con il titolo "Ratzinger iniziatore di una era nuova". 

L'atto dimissionario di Papa Benedetto XVI, l'11 febbraio di quest'anno è da considerare come rinuncia, abdicazione irresponsabile pro tempore? Colpisce non poco la tendenza dei media di considerare quest'evento assimilabile alle categorie della negazione, dato che, nell'attuale società dell'indifferenza, pare che sofferenze e lacerazioni siano oggetto di spettacolarizzazione.


Si rappresenta il dolore con lacrime, grida, abbracci strazianti; la morte con appalusi. Una cultura dell'intrattenimento confezionata per evitarci di leggere la realtà. A partire dallo sguardo radicale di Ratzinger su una devastante contemporaneità, lo psicanalista Giancarlo Ricci nel suo libro «L'atto, la storia - Benedetto XVI, Papa Francesco e la fine del Novecento» (Ed. San Paolo), dà una sua particolare lettura dei disastri soggettivi e le loro metamorfosi per aggirare la verità. Ricci, invita a considerare l'atto di Ratzinger come enunciazione del fatto che esso decide di non continuare ad assumere «l'impotenza della sua funzione», ma bensì di rimandarla al mittente. Senza tuttavia, «scendere dalla croce». Si assoggetta a quest'atto assoluto costringendo i poteri laici e religiosi che hanno realizzato lo smarrimento della ragione a fare i conti con la così detta realizzazione dei "massacri" e della morte a favore dell'Economia e del libero arbitrio biologico, biotecnologico.
  Ratzinger non si assume la responsabilità di rattoppare questi squarci. Secondo Ricci, è questo un tempo non cronologico ma logico, che determina la fine del Novecento. Benedetto, col suo atto fa crollare un muro epocale. Epoca prolifica di patologie legate alle dipendenze, ai consumi sfrenati che producono catene montuose di rifiuti. Un contesto che favorisce il fantasma di immortalità travestito con la sfarzosità del progresso. Forse per questo, il nuovo Papa potrebbe essere il primo di una nuova serie di Pontefici. Jorge M. Bergoglio, ancor prima di essere eletto, asseriva che: «Oggi ci troviamo in mezzo a un'interruzione…» a un nuovo passaggio dove la scena non è più la stessa.

martedì 10 dicembre 2013

UNA LEZIONE DI LAICITA' di Salvatore Veca


Pubblichiamo l'intervista a SALVATORE VECA 
(autore di Un'idea di laicità, Il Mulino) 
a cura di Alessandro Zaccuri 
uscita sull'Avvenire il 31 ottobre 2013.
Per l'intervista completa vai a:

Sta dicendo che dal Papa viene una lezione di laicità?
«La laicità, intesa nel suo significato più autentico, appartiene al cristianesimo in modo irrinunciabile e costitutivo. Per rendersene conto basta ascoltare l’esperienza di tanti parroci, di tanti sacerdoti che stanno vicini alle persone nei loro drammi e nei loro bisogni più profondi. È l’esempio dato da Francesco, appunto: non esporre agli altri la dimostrazione delle ragioni per cui sarebbe legittimo o sensato credere, ma rendere evidente che c’è una vita spesa e vissuta, in concreto, sulle ragioni della fede».

Per questo l’invito al dialogo risulta così convincente?
«Anzitutto questo sgombra il campo da una retorica, come dire?, diplomatica. Quella per cui si invoca il dialogo e ci si richiama a una generica melassa di valori comuni, evitando però di prendere sul serio le differenze su ciò che è fondamentale nella vita di ciascuno. L’insistenza di papa Francesco sulla verità vissuta come relazione, e non imposta come astrazione, conduce verso questo orizzonte di serietà, oltre che di precisione concettuale».

In che senso?
«Legare la verità all’esperienza della verità è tema cristiano, e anzi cristologico, per eccellenza. Ma anche al di fuori di una prospettiva di fede rappresenta un monito a non considerare la verità come qualcosa che possa essere pronunciato dall’esterno. La verità sta sempre nella partecipazione, nello stare in mezzo agli altri, praticando una lealtà che è dovuta in primo luogo a se stessi. Troppe volte abbiamo assistito a una confusione di piani più o meno volontaria, per cui il modello della verità scientifica viene applicato in maniera surrettizia a contesti di tutt’altro tipo. Le leggi della fisica sono vere in quanto verificate, non c’è dubbio. Però non sono sullo stesso piano di un’affermazione come “Io sono la via, la verità e la vita”».

È una distinzione solo teorica?
«Niente affatto. A nessuno può essere richiesto di venire meno a una convinzione di fede. Questo equivarrebbe a un’ingiunzione tirannica e sarebbe, inoltre, la sconfessione della verità come principio pluralista. Il che non significa, lo ripeto, che ogni asserzione può essere scambiata con qualsiasi altra. Vale semmai l’opposto: proprio perché la verità deve essere perseguita in ambiti diversi, diventa particolarmente urgente interrogarsi su che cosa significa l’incontro con Qualcuno che è la verità».

Torniamo all’origine religiosa delle libertà civili?
«O forse approdiamo alla misericordia come modello autentico di una convivenza basata sulla serietà delle proprie convinzioni e sull’attenzione appassionata per le convinzioni degli altri. Nel caso di papa Francesco si citano molte ascendenze, molte similitudini. Quella che personalmente mi colpisce di più riguarda un altro grande gesuita vissuto nel XVI secolo. Penso a Matteo Ricci, nel quale i cinesi riconobbero un amico venuto da lontano per trovare nuovi amici. Ecco, esattamente questo è lo stile di Francesco, lo stile della laicità».