domenica 18 gennaio 2015

GUERRA DI RELIGIONE? Sui fatti di Charlie Hebdo. Intervista a GIORGIO AGAMBEN

Sulle stragi terroriste a Parigi,  pubblichiamo l'intervista a GIORGIO AGAMBEN uscita sul quotidiano Repubblica il 15.1.15

Cosa pensa dei fatti francesi che hanno colpito “Charlie Hebdo”? Siamo davvero in guerra come sostengono molti?
    Mantenere la lucidità davanti a un delitto così atroce è difficile, ma non per questo meno necessario. Dunque mi sembra irresponsabile che alcuni abbiano potuto parlare apertamente di guerra. “Guerra” significa un conflitto fra Stati o potenze che si possono identificare e chiamare per nome, il che in questo caso, come in ogni atto di terrorismo, è ovviamente impossibile.
Proprio noi in Italia – dove dopo decenni non conosciamo ancora chi siano i mandanti dell’attentato di piazza Fontana – dovremmo essere i primi a saperlo. Ed è proprio questo equivoco tra terrorismo e guerra che ha permesso a Bush dopo l’11 settembre di scatenare quella guerra contro l’Iraq che è costata la vita a decine di migliaia di persone e senza la quale forse non avremmo avuto la strage che la Francia sta oggi piangendo.
Eppure molti pensano che per l’Occidente il conflitto con l’Islam sia inevitabile.
    Invece io penso che sia non meno irresponsabile e odioso identificare genericamente nell’Islam il mandante e il nemico da combattere. Quelli che lo hanno fatto sono senza accorgersene solidali con coloro che vorrebbero condannare. Mi sembra che la manifestazione di domenica mostri che è possibile una reazione ferma e politicamente consapevole, ma che non cade in questi errori. Tanto più che occorre non dimenticare che in un atto di terrorismo, in cui a volte servizi segreti e fanatismo lavorano insieme, è sempre difficile accertare con chiarezza i responsabili ultimi.
Sta dicendo che c’è qualcosa che è stato tenuto nascosto?
    Non sono tra quelli che vedono ovunque possibili complotti, ma la versione dei fatti che è stata riferita presenta delle oscurità e delle incongruenze. E temo che ora diventi sempre più difficile accertare le responsabilità.
Ma ci sono le telefonate registrate dalla tv francese e i video di rivendicazione che sembrano spiegare tutto in maniera inequivocabile.
    Si parla molto di libertà di stampa ma dovremmo parlare anche delle conseguenze che questo crimine avrà sulla nostra vita quotidiana e sulle libertà politiche, su cui, col pretesto del tutto illusorio di difenderci dal terrorismo, pesa già una legislazione più restrittiva di quella che vigeva sotto il fascismo. Anche perché dopo l’11 settembre in molti paesi, fra cui la Francia, i delitti di terrorismo sono stati sottratti alla magistratura ordinaria. Inoltre come si è potuto vedere in Francia con l’affare Tarnac e in Italia col processo No-Tav, il rischio è che ogni dissenso politico radicale possa essere classificato come terrorismo. Non tutti sanno che il Tulps, il Testo unico sulla pubblica sicurezza emanato sotto il fascismo, è per l’essenziale ancora in vigore, ma che le leggi contro il terrorismo, dagli anni di piombo a oggi, hanno sensibilmente diminuito e diminuiranno sempre più le garanzie che ancora conteneva.
Ma se la società civile è così vulnerabile, a maggior ragione abbiamo bisogno di leggi che governino la nostra sicurezza.
   La sorveglianza quasi senza limiti che, grazie anche ai dispositivi digitali, vengono esercitate in nome della sicurezza sui cittadini sono incompatibili con una vera democrazia. Da questo punto di vista oggi senza accorgersene stiamo scivolando in quello che i politologi americani chiamano Security State, cioè in uno Stato in cui una vera esistenza politica è semplicemente impossibile. Di qui il progressivo declino della partecipazione alla vita politica che caratterizza le società postindustriali. Temo che, dopo quello che è successo a Parigi, questa situazione peggiorerà ulteriormente.