venerdì 14 febbraio 2014

SULLA LAICITA' E L'ETICA di Giancarlo Ricci


"Un’altra laicità" è un paragrafo di L'atto la storia di Giancarlo Ricci. Il libro porta come esergo 
le parole di Meister Eckhart: 
“Ci sono quelli che vanno per mare con poco vento e lo attraversano: così fanno ma non lo attraversano. 
Il mare non è una superficie. 
E’ dall’alto in basso l’abisso. 
Se vuoi attraversare il mare, fai naufragio”
                                                                                              


I laicisti, coloro che assumono la laicità come professione di fede, fanno finta di non accorgersi che sono costretti a credere ciecamente alla loro ragione e a celebrarla; vi sono aggrappati, a volte non senza patetismo, nota Jacques Lacan. Del resto una ragione che non credesse a se stessa coinciderebbe con il disfacimento stesso di ogni ratio. Proveniamo da un secolo, il Novecento, dove il nichilistico della morte di Dio ha realizzato un drammatico smarrimento della ragione. Ha creduto paranoicamente di poter imporre una ragione totalitaria sui popoli. Il Novecento è stato il secolo in cui, in nome di un laicismo puro, è stata realizzata una religione del massacro e della morte. 

 Atto analitico dicevamo, quello di Benedetto XVI. Un atto che invoca l’istanza di una verità storica, del suo procedere, del suo eventuale futuro e della sua possibile trasmissione. In tempi recenti rimanevo sorpreso udendo più volte una curiosa osservazione: che a difendere fortemente la soggettività e a resistere alla sua omologazione, siano rimasti oggi solo il cattolicesimo e la psicanalisi entrambi, non a caso, abbondantemente bersagliati da critiche e obiezioni. L’accusa è di oscurantismo. Le critiche provengono dalle certezze globaliste insite nell’attuale modernismo il quale, per aprire nuovi mercati alle “multinazionali delle superstizioni” (Carlo Sini), ha bisogno di denunciare e scalzare quelle vecchie. Sappiamo del resto come i totalitarismi si siano fatti strada presentandosi sempre come “portatori di libertà”.
L’atto è laico, direi per definizione. E’ strutturalmente irrituale. Costeggia il rito ma rifugge il ritualismo. L’atto comporta che nel suo accadimento gli effetti non siano garantiti, non possono essere previsti, indirizzati, finalizzati in un unica direzione. L’atto si affaccia sull’alterità, la chiama a manifestarsi. Il laicismo invece ha bisogno di contrapporsi, di aggrapparsi a un presunto Altro per esistere e per farlo esistere. Ogni atto qui è pensato come finalizzato, finalizzabile, transitivo. Deve padroneggiare la necessità del telos. E in tal senso non può rinunciare alla sua inclinazione didattica. 
L’atto è dunque invocazione all’apertura, all’alterità, alla differenza. Non prevede necessariamente il telos. Cerca la proliferazione, si muove verso l’Altro affinché questi mostri il suo volto e il suo nome in uno spalancamento che produca accadimento. Sono convinto - lo dico con parole veloci e rozze - che l’atto del pontefice sia stato, paradossalmente, un atto laico. E mi sembra che il maggior effetto di sorpresa sia stato percepito nell’ambito autenticamente laico. In quell’ambito cioè in cui il pensiero non esclude, per principio preso, nessun pensiero. Il laico non è infatti relativista, semmai assolutizza. O meglio non sa rinunciare all’assolutismo perché di volta in volta lo svuota dall’interno.