mercoledì 28 agosto 2013

LO PSICANALISTA E LA STORIA di Giancarlo Ricci


Pubblichiamo la seconda parte dell'introduzione 
a L'atto la storia di Giancarlo Ricci

Benché il nostro tempo lo sospinga sempre più negli angoli dell’impotenza affievolendone la voce, lo psicanalista dovrebbe assumere la funzione di rilanciare incessantemente una riflessione intorno alle forme contemporanee del disagio della civiltà, ai suoi punti più critici e problematici. Dovrebbe essere insomma colui che pone in primo piano l’etica, il destino della soggettività e il contesto della comunità in cui essa esiste e opera. Per promuovere un “lavoro di civiltà” (Kulturarbeit) occorre pure che lo psicanalista entri in merito, si getti nella mischia, si esponga mostrando l’Altro volto delle cose e delle parole. Occorre in definitiva che si faccia testimone del proprio tempo e all’occorrenza sappia raccontare qualcosa di differente in merito agli avvenimenti storici che gli accadono attorno.



Considerato nella sua perentorietà il gesto di Benedetto XVI mi è sembrato un atto psicanalitico, un atto che apre la via a un’interpretazione e che sconcerta, che scaturisce come “momento per concludere” e costringe a cambiare registro, a voltare pagina. Un atto che fa affiorare le cose sommerse che si sono mimetizzate sullo sfondo di scenari soggettivi e sociali. Un atto epocale dunque, talmente epocale da spingermi ad azzardare l’ipotesi che esso abbia scandito simbolicamente la fine del Novecento e che un‘intera epoca storica così sia giunta al tramonto. 
Infine, proprio questo contrappunto tra due tempi testimonia della posizione da cui scrivo, non essendo né storico, né sociologo, né antropologo, né giornalista, né vaticanista. La posizione è quella dello psicanalista. Ossia di colui che è dedito all’ascolto dei disastri soggettivi e delle loro metamorfosi, di storie difficili e anche delle incredibili pieghe che i soggetti architettano pur di aggirare le verità dell’inconscio.