mercoledì 24 aprile 2019

DESTINO, RESPONSABILITA', LIBERTA'

Destino, responsabilità, libertà: tre termini essenziali e imprescindibili al lavoro di civiltà. Non c'è uno senza l'altro. 

Come in un nodo borromeo, se togliamo un anello gli altri due svaniscono. Oggi l'istanza di libertà sembra talmente indebolita, quasi fosse implosa in se stessa,  da vanificare gli altri due termini.



L'intervista di MARIA RACHELE RUIU a Giancarlo Ricci sul suo ultimo libro,  (Il tempo della post libertà. Destino e responsabilità in psicoanalisi, Sugarco) apre un dibattito di grande attualità. 

L'intervista è uscita il 16.4.2019 presso il sito di Provita 




Giancarlo Ricci, psicoanalista milanese con 40 anni di esperienza sulle spalle e autore di numerosi e apprezzati volumi, è noto per essere stato inquisito per aver difeso, citiamo testualmente, «la funzione essenziale e costitutiva di padre e madre nella costituzione del soggetto». Secondo chi ha aperto il procedimento, ossia l’Ordine degli Psicologi della Lombardia infatti, questa frase sarebbe stata discriminatoria  nei confronti delle cosiddette famiglie arcobaleno.
Abbiamo incontrato lo psicanalista, che ha ripercorso in un interessantissimo libro (Il tempo della post libertà) l’intera vicenda spiegando il caso increscioso.

Iniziamo dalla fine. Il mese scorso la sua vicenda si è conclusa con l’archiviazione. Come commenta?     
    
«Ci sarebbero molte cose da evidenziare. Innanzitutto che ho atteso più di tre anni per una sentenza che poteva risolversi in pochi mesi. È stato un modo con cui una parte di Consiglieri (colpevolisti) ha cercato in qualche modo di “ostacolare” alcune mie attività pubbliche. Secondariamente: i voti favorevoli all’assoluzione sono stati 7 a favore e 7 contrari. Un risultato quindi sul filo di lana che indica una spaccatura all’interno dell’Ordine. Infine: il testo sulle motivazioni è pieno di incongruenze, di omissioni, di affermazioni contraddittorie. Pur di non ammettere la consistenza ideologica delle accuse, insistono nell’affermare che “permangono irrinunciabili perplessità in ordine a orientamenti dottrinali a cui le affermazioni del dott. Ricci potrebbero voler fare riferimento”. Dopo questo contorsionismo concludono che “non sono emersi elementi sufficienti per ritenere il dott. Ricci responsabile per gli illeciti contestati”. Insomma sembra un’assoluzione per insufficienza di prove. Del resto non poteva accadere altrimenti».

Il suo libro si chiama Il tempo della post-libertà. Cosa intende? Non siamo in una Paese libero?     

«Nel libro cerco di evidenziare come il concetto di libertà sia cambiato. Nel Novecento, secolo di totalitarismi e massacri, aveva una connotazione specifica: l’uomo novecentesco doveva combattere per conquistarsi la libertà, era una questione di sopravvivenza. Con la globalizzazione e con il capitalismo neoliberistico la libertà diventa un’altra cosa: una sorta di merce che viene offerta per soddisfare il desiderio di varie categorie sociali. È una manovra per acquisire credito e imporre all’individuo un debito immaginario. Paradossalmente la libertà diventa un obbligo. Perché accade così? La mia lettura è che si attua una sorta di scambio silenzioso: varie forme di libertà con la promessa di sicurezza e di benessere in cambio di una rinuncia alla responsabilità. Il cittadino sarà ricolmo di libertà a condizione che consegni l’istanza della responsabilità a qualcun altro che la gestirà come vuole. È il tempo delle governance anonime e irraggiungibili. “Delegando” le responsabilità sociali ad altri, ai cittadini non resta che partecipare al mondo dell’ipnosi collettiva, della suggestione mediatica, al teatrino spettacolarizzato in cui altri mettono in scena le sorti di un possibile “bene comune”. L’effetto più evidente è che sparisce il concetto di libertà come coscienza soggettiva, interiore, come critica morale, come lavoro di riconquista della propria soggettività.       
Siamo in un Paese libero? Dipende: viviamo in una libertà condizionata. Se concordiamo con il pensiero unico e partecipiamo al gioco illusorio di una realtà artificiosa, tutto va bene; se incominciamo a fare delle domande in più, a scompigliare il politicamente corretto, a prendere la parola mettendo in causa l’ideologia dell’egualitarismo, allora le cose si complicano
. In tal senso la mia vicenda, caso microscopico, è indicativa. Mostra, tra l’altro, come le istituzioni nel nostro Paese spesso funzionano come luoghi in cui si depositano rimasugli di ideologie che pretendono di controllare e gestire “correttamente” il bene comune. Come se le istituzioni non fossero al servizio del cittadino ma il cittadino al loro servizio, come se si trattasse da parte di costoro di imporre un debito, un’obbligazione. Una delle accuse che mi hanno mosso è stata quella secondo cui ho preso la parola senza tener conto delle linee guida stabilite dall’Ordine degli Psicologi. Secondo quest’ultimo, intervenendo a un dibattito televisivo rappresentavo la categoria professionale cui appartengo e quindi non potevo esprimere il mio pensiero liberamente. Siamo in un Paese libero? Direi piuttosto: siamo in Paese in cui il cittadino deve difendersi da varie forme di parassitaggio».

Viviamo nel tempo del “se lo desidero e posso ottenerlo, LO VOGLIO”. È libertà?

«Piuttosto direi che è una parodia della libertà. Che la libertà coincida con l’appagamento di un desiderio, mi sembra un’idea abbastanza rozza, narcisistica e decisamente cinica. È una figura dell’attuale relativismo dove la libertà, fomentata dalla logica del consumo, risulta capriccio.  La libertà ha un’altra dignità. Più che l’ottenimento, più o meno immediato, di qualcosa, mi sembra che essa sia da considerare come un lavoro, un progetto non esente da verità. Sigmund Freud amava citare una frase di Goethe che dice: “Ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo se vuoi possederlo davvero”. In tal senso, forse, la libertà in psicoanalisi va considerata come un lavoro di riconquista, una ritessitura della propria soggettività, un desiderio di rimettere in questione quello che chiamiamo il “nostro destino”. In una parola: riuscire a girar pagina e a ricominciare da un altro punto il progetto della nostra esistenza. In questa accezione di libertà siamo costretti a fare i conti con un’alterità radicale, con quell’alterità che persiste ad abitare l’essere umano, come afferma il filosofo Levinas. È un’impresa individuale ma al contempo collettiva nel senso che presuppone gli altri, l’Altro, i nostri simili ossia la nostra memoria e la nostra storia. Senza questo concetto di libertà, la civiltà non va da nessuna parte anzi si spegne nell’autoreferenzialità, nella compiacenza  ripetitiva, nella conferma di un’identità mortifera».

Sono appena passati i giorni di Verona. Il Congresso è stato dipinto dalla stampa in maniera vergognosa, i partecipanti demonizzati. La violenza con la quale siamo stati salutati da alcuni politici e da molta stampa è stata impressionante. Come difendersi dall’aggressione ideologica che stiamo vivendo?

«Intorno al Congresso di Verona si è svolto qualcosa di vergognoso. A mio avviso, bisogna riflettere su una certa modalità mediatica di attuare una sorta di “informazione preventiva”: informare preventivamente significa per i media creare una realtà già preconfezionata, pronta all’uso e all’abuso proprio perché contiene in sé, all inclusive, un giudizio ideologico sprezzante e ottuso. Questa modalità ha come programma la destituzione dell’altro, la sua demonizzazione, la messa in ridicolo. Fa parte, direi, del “carnevale della libertà” di cui parlo nel mio libro: è lecito trasgredire, insultare, demonizzare senza assumersene alcuna responsabilità. Tutto è possibile. Anche affermare, immediatamente dopo, il contrario di quello che si è detto. Tanto non succede nulla. Le fake news possono essere smentite, corrette o gettate nella pattumiera. Ma ciò non accade per le notizie omesse, oscurate, fatte sparire. Questa dissimmetria, dalle caratteristiche un po’ schizofreniche, è molto rischiosa per i media perché costoro si giocano la loro credibilità. Non dimentichiamo che sono gli stessi media che ci informano (o vorrebbero informarci) su ciò che accade nel mondo.
Come difendersi? In una battuta: puntare di più sulla formazione (culturale, storica, giuridica, antropologica, spirituale) che sull’informazione. La nostra società, quasi con un gioco di prestigio, ha sostituito la formazione con l’informazione: ha barattato la cultura con l’intrattenimento, il pensiero con il consenso acritico, la libertà delle idee con il relativismo, la convinzione con il fanatismo. Fatte queste considerazioni, rimane un dato positivo fondamentale: se ci sono stati tanti attacchi “preventivi” e tanta demonizzazione significa che il Congresso di Verona ha colto nel segno…».

Maria Rachele Ruiu

sabato 2 febbraio 2019

GENDER E TRANSUMANESIMO, UN'UMANITA' NEUTRA

Pubblichiamo alcuni passi di EUGENIO CAPOZZI 
tratti dal suo libro 
POLITICAMENTE CORRETTO. STORIA DI UN'IDEOLOGIA  
  (Marsilio 2018).  


Un’umanità neutra: tra gender e transumanesimo

La messa in discussione di un'essenza metafisica del soggetto umano, l'obiettivo di affermare una libertà radicale

svincolando gli individui da vincoli biologici, ambientali, sociali, culturali trovavano un'immediata e tangibile realizzazione in special modo nell'identità sessuale. “Essere quel che si vuole” per un'entità che può costruirsi come soggetto attuando il principio di autodeterminazione significava abolire ogni distinzione di ruolo e ogni convenzione predefinita, per dedicarsi soltanto alla soddisfazione delle proprie pulsioni.
  Come nel caso della lotta al colonialismo e alle discriminazioni razziali, anche quella alle discriminazioni sessuali si allontanò dal riferimento alla tradizione costituzionale dell'Occidente e, influenzata dalla rivolta diversitaria, trasformò la rivendicazione dell'uguaglianza nella messa in questione di ogni concezione della natura umana sedimentata nella storia, e nella pretesa dell'esistenza di una sfera di diritto speciale, di un riconoscimento pubblico di legittimità dovuto a un gruppo, definito in nome della sua differenza. Tanto il femminismo di seconda generazione quanti movimenti per i diritti gay (come cominciarono ad essere designati dall'inizio degli anni settanta) vennero influenzati dalla tesi secondo cui rappresentazioni del sesso maschile e di quello femminile ereditate dalla storia occidentale, andavano considerate come impalcature
Eva nasce dalla costola di Adamo, bassoriiievo Duomo di Orvieto.
ideologiche di un sistema patriarcale fondato sulla sistematica sopraffazione e repressione delle diversità. E secondo cui, viceversa, le identità sessuali non sono stabilite dalla biologia, ma sono il frutto di una costruzione culturale determinata dalle mentalità dominanti o dalla libera scelta dei soggetti.
Sorto nell'ambiente dei cultural studies, il concetto di gender (genere), contrapposto a quello di sex, esprimeva pienamente questa condanna, e il radicale relativismo che la ispirava. Attraverso una serie imponente di ricerche nel campo socio psicologico, storico, letterario, mediatico gli studiosi del gender hanno sostenuto che qualsiasi connotazione culturale dei sessi, esterna alla conformazione biologica, esprime rapporti di potere che nella civiltà occidentale si sono definiti appunto nel modello sessista del patriarcalismo. Punto comune tra gender studies, il femminismo radicale e movimenti gay stava nella determinazione a decostruire queste connotazioni, per aprire la strada a nuove rappresentazioni di genere libere da condizionamenti e coercizioni.
Conformemente alle politiche dell'identità, quei movimenti rivendicavano non solo la libertà di comportamento degli individui nonché l’uguaglianza giuridica “senza distinzione di sesso”, ma il riconoscimento delle identità alternative alla polarizzazione tradizionale […].
Il vero cuore dell’identità gender si rivelava essere il rifiuto di ruoli e identità fisse: la loro interpretazione, cioè, non come stati naturali ma come “atti performativi”, per usare l'espressione di una delle principali caposcuola dei gender studies, Judith Butler. […].
L'ideale di un essere indifferenziato, neutro, multivalente, dalle identità cangianti e mobili si va  a inquadrare in un progetto ideologico preciso: la costruzione di un'umanità svincolata da ogni condizionamento naturale e culturale, ridefinibile secondo potenzialità infinite con l'ausilio di mezzi tecnoscientifici senza precedenti nella storia della civiltà. In questa chiave si comprende meglio la rapida trasformazione dei temi sui quali si sono andate incentrando nell'ultimo trentennio le rivendicazioni dei gruppi gender nel dibattito civile dei paesi occidentali.
Acquisita l'abolizione di ogni condanna o discriminazione
normativa, nonché l'accettazione sociale di differenti stili di vita sessuale, le campagne si sono spostate su questioni come il  nodo paternità/maternità e il concetto di famiglia. 
L'enfasi posta sull'obiettivo del matrimonio same sex o egualitario (regolato dello stesso regime di quelli eterosessuali) come diritto fondamentale converge con la tendenza all'affermazione di una pluralità di modelli di unione familiare, con numerose varianti e sempre più provvisori.
Diviene rilevante la possibilità, attraverso la parificazione delle unioni civili omosessuali al matrimonio, di legittimare il diritto alla paternità e maternità same sex: il riconoscimento giuridico che esistono figli nati da due madri o da due padri, ottenuti attraverso una “madre surrogata” o la fecondazione in vitro da un donatore di sperma. […].

Queste innovazioni giuridiche rappresentano momenti di transizione verso la relativizzazione totale della genitorialità, la scissione completa tra sessualità e generazione, l'equiparazione della paternità/ maternità a un'operazione di laboratorio.
La società “neutralizzata”, depurata da eredità biologiche, storiche e culturali costituisce il punto di partenza per l'estremo progetto, il più ambizioso dell'ideologia neo progressista. Un progetto faustiano: il superamento dei limiti fisiologici della natura umana attraverso l'uso estensivo dei poteri derivati dalla tecnoscienza, ossia dal sistema ormai organicamente unito di scienze e tecnologie in grado di svilupparsi in forma autonoma, e di intervenire in maniera determinante sui momenti decisivi della vita umana.
Biotecnologie, ingegneria genetica, nanotecnologie, robotica, nuove frontiere della farmacologia e della psicologia da qualche decennio, in sempre nuove combinazioni e interazioni, hanno registrato un'accelerazione esponenziale
dei loro progressi e accumulato potenzialità che promettono svolte decisive nell'innalzamento della qualità della vita, nella lotta alle malattie, alla sofferenza, alle disabilità, nell'obiettivo di prolungare l'esistenza a livello fino a poco tempo fa impensabili. Molti tra i più ricchi imprenditori dell'industria hi-tech stanno investendo da tempo enormi capitali in queste tecnologie.
Da tempo questo scenario è stato posto al centro di una corrente culturale definita “transumanesimo”. Esso prefigura un prossimo futuro in cui gli esseri umani potranno accedere a opportunità senza precedenti nella storia, superando definitivamente molti limiti della loro condizione naturale. Prospettiva che in alcuni casi si spinge fino l'ipotesi che possono fondersi in varia misura con macchine e tecnologie (postumanesimo). E ha già stimolato molte riflessioni a livello filosofico su quanto il potere tecnoscientifico sarà in grado di cambiare la storia, ma anche la morale umana, il senso del bene del male, della vita e della morte.