mercoledì 16 luglio 2014

FRANCESCO, IL CRISTIANESIMO SEMPLICE DI PAPA BERGOGLIO. Di Alessandro Zaccuri


“In questo libro c’è quello che ho fin qui capito del cristianesimo. Il libro stesso è, di conseguenza, molto piccolo, perché il cristianesimo non è un argomento, non è qualcosa che si può padroneggiare e capire. Semmai, è ciò da cui si viene capiti, interpretati e accolti. Il titolo è "Francesco", il sottotitolo rimanda al «cristianesimo semplice di papa Bergoglio». Più che un saggio sul pontefice, è il tentativo di descrivere, per accenni e come in un racconto, la tradizione particolarissima di un francescanesimo fortemente mediato dalla lezione e dal metodo di sant’Ignazio di Loyola. Il raffronto non è tanto con i "Fioretti," quanto con gli "Esercizi spirituali" e con alcuni capolavori pittorici, primo fra tutti lo strepitoso San Francesco di Zurbàran che ho avuto modo di ammirare a Ferrara l’autunno scorso. In quel quadro, secondo me, c’è tutto quello che volevo scrivere”.
E’ l’autore stesso, Alessandro Zaccuri, nelle righe che seguono a raccontare la propria avventura.
Per articolo completo vai a http://alessandrozaccuri.it/?p=850#more-850
Gli "Esercizi spirituali" di Ignazio di Loyola sono il racconto di una semplicità conquistata. Il termine non è scelto a caso. Sia Francesco sia Ignazio sono stati soldati, hanno combattuto, hanno conosciuto il primo la prigionia e il secondo la sofferenza delle ferite. Dopo di che, hanno abbandonato le armi. «Tutti e’ profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorono», si compiace di annotare Machiavelli nel "Principe", istituendo una regola generale che però non tiene conto dell’eccezione francescana e ancora non può, per meri motivi di cronologia, apprezzare quella ignaziana. Francesco e Ignazio sono e vogliono essere «profeti disarmati», non per disprezzo della disciplina militare (che anzi riveste un ruolo tanto importante nell’organizzazione interna della Compa­gnia di Gesù e, in modo più sotterraneo ma non meno rilevante, nella stessa famiglia francescana), ma perché in questa rinuncia all’armatura si consuma il primo stadio della spogliazione,  fondamento e l’apice della vita cristiana (...). 
Prima ancora di denudarsi davanti al vescovo di Assisi, Francesco decide di non indossare più la corazza del cavaliere. A quel punto è già al cospetto di se stesso, è già nudo, già totalmente identificato con la sua sola umanità. Si pensi a un quadro celeberrimo: la Pala Montefeltro di Piero della Francesca (1472). Tra i numerosi santi che compaiono del dipinto c’è anche Francesco, che nella mano destra tiene la croce, mentre con la sinistra scosta leggermente i lembi di un taglio nel saio, sotto al quale sta un altro taglio, più doloroso: la ferita che il serafino gli ha impresso sul petto. È la ferita in cui sono compendiate tutte le altre, la stessa piaga riprodotta con estremo realismo da Caravaggio nella magnifica Incredulità di Tommaso (...).
Il Francesco che troviamo nella "Pala Montefeltro" mostra insieme la croce e la ferita ribadisce, con questo duplice gesto, il legame speciale che fa di lui un "alter Christus". Il suo è anche un atto di denudamento. Francesco lascia intravedere la propria nudità, sia pure parziale, perché in quella nudità – in quella carne altrimenti condannata al peccato – si è manifestata la salvezza. La mobilità del santo è in singolare contrasto con la fissità nella quale appare relegato il committente, Federico da Montefeltro, l’unico tra i molti personag­gi del dipinto che Piero ritrae di profilo. Federico è anche il solo ad apparire in ginocchio, ancora rivestito della sua armatura. Restano scoperti il volto, tratteggiato in una rigidità da cammeo, e le mani, riprodotte dal pittore con meticoloso realismo. Nonostante la plasticità dei dettagli (il colore dell’in­carnato, le venature che lo attraversano, gli anelli), le mani di Federico restano inerti, non operano alcuna rivelazione, al contrario di quelle di Francesco. 


Le mani del condottiero sono terribilmente simili ai guanti dell’armatura appoggiati davanti a lui, per terra, pronti a essere indossati una volta terminata l’orazione. Vicino a loro c’è l’elmo, collocato di tre quarti, in modo da accentuare ulteriormente la linea innaturale del profilo: è come se la sommità dell’armatura, ancora con la celata abbassata, fosse diventata il vero volto di Federico. Il guerriero non si è disarmato, la nudità delle sue mani è accidentale, momentaneo il suo presentarsi a capo scoperto. Il suo corpo non può ricevere alcuna ferita, neppure per via mistica, come nel caso di Francesco. Ma lo spettatore intuisce che in que­sta incolumità si annida un pericolo: chi non viene ferito, non può essere salvato. Per questo non si dà, nel tempo presente come in ogni tempo, cristianesimo che non sia disarmato (...) .