venerdì 17 gennaio 2014

L'INCIVILTA' DELLA COMUNICAZIONE di Giancarlo Ricci


Pubblichiamo un brano del libro di G. Ricci L'atto la storia

La civiltà della comunicazione è anche questo: qualcuno legge al tuo posto e poi propone il riassunto. Ecco il banale trionfo della libertà: puoi scegliere chi farà il riassuntino. La chiamano giustamente civiltà del benessere: si può infatti evitare la fatica di leggere e di pensare. E dunque scegliere, praticando la libertà preferita, tra le infinite opzioni di intrattenimento. Ciò che recentemente si chiamava cultura oggi si chiama “intrattenimento”.
Parola appropriata quest’ultima, in quanto felicemente evoca, immaginando la catena di montaggio di un grande allevamento zootecnico, la fase indispensabile che precede la successiva, quella davvero produttiva.  L’otium latino era tutt’altra cosa. Se invece oggi così volentieri ci offriamo ad essere intrattenuti, significa che senza tale premura non sapremmo che fare del nostro tempo e del nostro desiderio. Ne vogliamo godere. Facendoci intrattenere, ci illudiamo di colmare un vuoto che nemmeno ci appartiene.
La nostra è l'epoca in cui si svolge una stagione dominata da una parola “magica” che produce stupore: ingovernabilità. Essa dilaga nello pseudo dibattito politico, nella gestione della cosa pubblica, nelle istituzioni, nei processi decisionali, nei tavoli delle trattative, nei legami sociali. Il sistema non regge più, non tiene più, dicono alcuni. Già: quando qualcosa termina, cade e cadendo effettua una cesura, un taglio. Le cose non stanno più al loro posto. La memoria esce dagli archivi. La realtà, sempre preconfezionata, e il reale delle cose e del mondo collidono e non riescono più a colludere: occidentali disorientamenti