lunedì 9 novembre 2015

San Tommaso e la psicologia clinica. Stefano Parenti su un libro di Roberto Marchesini.


Pubblichiamo alcuni brani dell’introduzione di Stefano Parenti al libro di ROBERTO MARCHESINI, 
Aristotele, san Tommaso d’Aquino e la psicologia clinica
D’Ettoris Edizione, Crotone, 2015. 

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Qualche anno fa ho avuto la fortuna (ma la fortuna non esiste!) di seguire un corso sull'educazione all'affettività assieme a Roberto Marchesini. Già lo conoscevo per il suo fondamentale contributo alla psicologia dell'omosessualità, ma ancora ignoravo che il suo interesse principale coincidesse con il mio: la psicologia cattolica. Da quel giorno nacque una profonda simpatia ed una proficua collaborazione che hanno portato all’apertura del sito internet “Psicologia e Cattolicesimo” ( http://psicologiacattolicesimo.blogspot.it ) sul quale pubblichiamo recensioni di testi, traduzioni ed articoli inediti. Significativamente, il nome riproduce il titolo del primo libro sull'argomento che Marchesini aveva curato, nel quale approfittava di una corposa introduzione per ripercorrere i rapporti tra Chiesa Cattolica e psicologia. Dalla disamina storica emergeva una realtà ben diversa da quella comunemente nota.  
    Laddove gli esponenti della psicologia identificano nella Chiesa la principale forza ostile allo sviluppo della disciplina, i documenti pontifici e le note pastorali - che Marchesini ripercorreva nel testo - testimoniano un interesse profondo da parte di quest’ultima per il sapere psicologico. Ma essi sono brani di difficile reperibilità, dimenticati nel corso degli anni, poco frequentati anche dai cattolici. I laici si sono disinteressati al lascito del Magistero; di conseguenza i contributi originali sono pochi e poco approfonditi. Così, la psicologia è diventata il terreno degli oppositori della Chiesa, in cui il cattolicesimo è comunemente inteso come un ostacolo alla laicità professionale. Più che riguardare i fedeli atei, il problema dovrebbe interrogare i fedeli cristiani. Eppure su tale argomento regna un silenzio pressoché assordante.

Si conoscono ormai bene i vasti effetti della secolarizzazione e scristianizzazione della società: la precarietà dei legami coniugali, l'assenza dei padri, la dittatura del relativismo, la riduzione del cristianesimo ad etica, la transvalutazione dei valori morali, ecc. I cattolici che denunciano i mali – quasi sempre con una testimonianza di vita, quasi mai con una diatriba culturale - sono osteggiati o, nel migliore dei casi, ridotti a connivenza con la società laicista. La vita di fede, ove è evidente, dà fastidio; dunque al cattolico viene chiesto di professarla rintanato nelle mura casalinghe, in modo che non disturbi con pericolosi “contagi”. Nell'ambito della professione clinica ciò che si osserva è una “scissione” dello psicologo cattolico: “Il rischio è quello di scindersi, ossia di essere cattolico nella preghiera quotidiana, nella frequenza ai sacramenti, nel tentativo di attuare la dottrina sociale della Chiesa dove ve ne sia la possibilità; ma di chiudere tutto questo fuori dalla stanza di terapia” (R. MARCHESINI, Rudolf Allers, psicologo cattolico, in RUDOLF ALLERS, Psicologia e Cattolicesimo, D’Ettoris, Crotone 2009, pag. 17). Un tale atteggiamento segnala una convinzione, spesso implicita: la fede, se c’è, non ha nulla a che fare con la psicologia. Le recenti parole di papa Francesco sembrano richiamare l'attenzione sul tema: “La formazione dei laici e l’evangelizzazione delle categorie professionali e intellettuali rappresentano un’importante sfida pastorale” (FRANCESCO, op. cit., n. 102). 
Marchesini si oppone alla scissione. Riformulando un’espressione di don Giussani, si domanda: “Se Cristo è tutto, che cosa c'entra con la...psicologia?”. Nella letteratura, le (poche) proposte che tentano di rispondere al quesito paiono insoddisfacenti. C'è chi sostiene che lo psicologo cattolico si distingua per una strenua osservanza dell'etica professionale: pregare per i pazienti, adeguare le fatture, agire moralmente. Personalmente, ho incontrato il cristianesimo quando frequentavo l'università, affascinato da degli amici “strani” per i quali il rapporto con Cristo era il cuore della vita. Non un cappello, da potersi indossare o riporre a seconda delle circostanze, ma il centro dello studio, il perno dei rapporti, il fil-rouge della quotidianità. Una bella frase di Jacopone da Todi ne riassume sinteticamente lo spirito: “Cristo me trae tutto, tanto è bello”. In questa prospettiva di vita, la morale ricopre certamente un ruolo importante, ma non l'unico, e neppure il primo da un punto di vista cronologico. L'agire, infatti, è una conseguenza dell'essere (agere sequitur esse, stabilisce un principio primo aristotelico); se la sequenza si inverte l'esito è il moralismo, ossia una concezione secondo cui le regole di Gesù, e non la persona viva di Cristo, determinano l'esistenza. Nella sua enciclica più bella, papa Benedetto XVI ha voluto esplicitare l'erroneità di una posizione moralista: “All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (BENEDETTO XVI, Deus caritas est, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005, n. 1). Un cristianesimo ridotto ad etica è arduamente conciliabile con una vita in cui Cristo è “tutto”. Di conseguenza una psicoetica, cioè una modalità di intendere il mestiere psicologico a partire dalla morale cristiana ma senza un richiamo diretto a Cristo stesso, rischia di alimentare la scissione invece di ricomporla.
Ma vi sono altri tentativi di soluzione al problema. Alcuni autori sostengono che sia la dottrina della Chiesa a doversi modificare sulla scia delle “scoperte” dalla psicologia. È la posizione di molti psicoanalisti, i quali hanno aderito alla dottrina freudiana come i fedeli di una seconda chiesa. Gli esempi di Lemercier e di Drewermann sono ben noti, ma anche in Italia tale rischio sembra talora palesarsi. Ad esempio Mazzocato descrive un Magistero che “non sa” (GIUSEPPE MAZZOCATO, Malattia della mente o infermità del volere?, Glossa, Milano 2004, p. 63), che possiede dei “difetti” e che è “incapace”: “È l'impianto teorico dell'antropologia cristiana che deve essere ripensato, perché si possa far luce sul modo di utilizzare i dati delle scienze psicologiche. [...] è l'impianto stesso dell'ontologia che va infatti ripensato” (Ibidem, pp. 35, 37). Anche questa concezione riduce il fatto cristiano ad elemento secondario, né necessario né sufficiente. Difatti, Mazzocato sostiene che: “La vita di fede facilita e potenzia la crescita umana, ma non ne costituisce una specifica connotazione”. Come per altri autori (Leonardo Ancona), l'incontro col Magistero non sembra possedere una portata educativa, bensì è percepito di ostacolo alla scoperta della verità. Eppure San Giovanni Paolo II aveva precisato che: “[...] Cristo Redentore rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso” (GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1979, n. 10), sulla scia del Concilio che aveva sintetizzato: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo” (CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1965, n. 22). Quale alternativa allora? La soluzione la offre lo stesso Marchesini, rileggendo e riscoprendo il contributo di un grande autore sconosciuto: Rudolf Allers. Già nella prima metà del XX secolo, Allers intuì che la divergenza all'origine della scissione fosse da rintracciarsi nelle antropologie soggiacenti le prospettive psicologiche. Una concezione parziale o ridotta dell'uomo porta ad una teorizzazione della psicologia umana fuorviante o faziosa. Una prassi clinica (psicoterapia) dedotta da una tale teoria non può che risultare inadeguata o erronea. Si rende necessaria, allora, una psicologia cattolica, cioè una concezione che origini dall'antropologia cristiana e permetta un agire in conformità con i suoi principi. “Una psicologia medica cattolica deve essere una vera sintesi delle verità contenute nei sistemi già esistenti e inaccettabili, visto il loro spirito di materialismo puro, e le verità della filosofia e la teologia cattolica. Questo lavoro di sintesi non può essere compiuto che da persone istruite e nella medicina o psicologia e nella filosofia, e che possiedono una esperienza pratica e personale assai grande: cioè questo lavoro deve essere fatto da medici, specialisti di psichiatria, dunque da scienziati cattolici laici” (Lettera di Allers a Padre Agostino Gemelli, 29 Settembre 1936, in JORGE OLAECHEA CATTER, Rudolf Allers psichiatra dell'umano, D'Ettoris, Crotone 2013, p. 61). 

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