domenica 5 gennaio 2014

IL SECOLO INCAPACE DI FINIRE. IL PAPA E LA FINE DEL NOVECENTO di Silvia Guidi


Recensione a "L'atto la storia" di Giancarlo Ricci 
uscita sull'Osservatore Romano (3.1.2014) 
a firma di Silvia Guidi

«Ci sono quelli che vanno per mare con poco vento e lo attraversano. Così fanno, ma non lo attraversano. Il mare non è una superficie. È dall’alto in basso l’abisso. Se vuoi attraversare il mare, fai naufragio»; Giancarlo Ricci, giornalista e psicanalista, cita Meister Eckhart per introdurre il suo ultimo libro L’atto, la storia. Benedetto XVI, Papa Francesco e la fine del Novecento (San Paolo, 2013, pagine 92, euro 9) in cui dall’osservatorio privilegiato del suo lavoro — «l’ascolto dei disastri soggettivi e delle loro metamorfosi» — scruta la vertigine del nostro tempo appiattito sul presente, che vive nell’idolatria del nuovo ma fatica a progettare concretamente il futuro. È uno sguardo che  attraversa   a volo radente  il  disagio  di un’intera  civiltà, segnalandone le derive, i paradossi, i punti di non ritorno. 

Con ironia, talvolta con sarcasmo, sempre con dolore autentico. Il ritmo è quello dell’invettiva; è un tempo strano il nostro — scrive l’autore — un tempo in cui l’uomo, pur di non dover riconoscere che ha paura di tuffarsi, non guarda più il mare. Nell’analisi di Ricci, che ha il respiro ampio della lunga durata alla Braudel, il Novecento non è terminato con il crollo del muro di Berlino, né con quello delle Torri Gemelle, perché «qualcosa nella quotidianità continuava a crollare, a produrre macerie e relitti. È stata la decisione di Benedetto XVI di lasciare il pontificato a chiudere il secolo scorso trascendendo la storia della Chiesa. Quell’atto ha messo un punto, ha posto un sigillo: quanto accadrà nel futuro non potrà essere interpretato attraverso i soliti schemi cui siamo abituati. E nei gesti di Papa Francesco possiamo già leggere cosa sarà il tempo futuro». 
Il gesto di Benedetto XVI ha gridato al mondo che il valore di ogni singolo io non coincide con il ruolo che riveste, smascherando l’impasse strutturale del potere, la falsità della sua pretesa onnipotenza.
«L’umano è segnato da una falla irreparabile — scrive Ricci — una falla da cui non c’è rimedio. Per dirla meglio: i danni peggiori si compiono credendo che possa esserci rimedio, che si possa guarire da questa falla. Otturarla, dimenticarla, anestetizzarla, aggirarla, sconfessarla. Le cosiddette “nuove patologie” del nostro tempo costituiscono prevalentemente le coniugazioni delle varianti cliniche, soggettive, di questi tentativi. Il predominio dell’informazione e della comunicazione viene esercitato a ciclo continuo gettando cemento su questa mancanza, ritenendo possibile riedificare una nuova Babele». 
Il reale, continua Ricci, è sempre altrove rispetto a quello che immaginiamo. È come l’apertura del vaso di Pandora da cui escono le figure più perverse di un immaginario che pretende di padroneggiare tutto; non più la “cosa pubblica” ma la caricatura della sua degradazione. 

Occuparsi, per uno psicanalista, del disagio della civiltà nelle sue forme attuali costituisce l’altra faccia della clinica: un giro apparentemente più lungo ma che permette di arrivare al cuore delle questioni, di ogni questione. E ciascuna questione è soggettiva e singolare proprio perché chiama in causa una particolare vicenda sociale; l’istituzionale e il soggettivo sono indissolubilmente legati. «Se le categorie del Novecento — conclude Ricci — hanno proseguito fino ad oggi è proprio perché la contemporaneità sembra abbia preferito utilizzare lo stesso abito del Novecento aggiungendo nuovi rattoppi. Dinanzi alla ripetizione di una serie di impasse che attengono l’eventualità stessa di progettare in termini differenti un possibile futuro, nessuno osa versare vino nuovo in otri nuovi. Cosicchè oggi tutti lo constatano: stiamo perdendo sia il vino sia gli otri. Doppia perdita. In questo raddoppiamento che si appresta a moltiplicarsi a dismisura riconosciamo la vertigine della contemporaneità. È una vertigine che Benedetto XVI, uomo audace e profetico, ha saputo individuare e assumere, voltando pagina».

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