martedì 6 maggio 2014

RIDERE, DERIDERE, IRRIDERE di Giancarlo Ricci

Qualche considerazione, ancora, sul gesto di Benedetto XVI e su un certo atteggiamento dei media, sulla responsabilità, sulla potestas. Farsi zolla, diceva Blake.


Al di sopra di tutti gli uomini, ma sempre uomo e sempre con lo sforzo di tenere salda l’insegna della propria funzione: di fronte a ciò che ascoltava e pensava, di fronte alla scena di ciò che gli stava dinanzi (non è questo l’etimo di “osceno”?), Benedetto XVI con questo atto si è fatto scarto del mondo, si è fatto resto che lascia il mondo pur rimanendo nel mondo. Mai come oggi avvertiamo che tra il mondo e l’immondo il passo è breve.
E ancora: si è fatto zolla che si lascia calpestare dalla mandria dei bisonti, come Roberto Mussapi ha scritto, evocando le potenti immagini di William Blake. Farsi zolla, scarto, scoria, farsi piccola cosa, umile e impotente; gesto non lontano dal sicut palea di san Tommaso. Insistiamo nel sottolineare che si tratta di un atto, ossia qualcosa che taglia e chiude una serie, la porta a termine, la conclude. Attua una partizione. Forzando i concetti si potrebbe qui azzardare un’adiacenza tra atto e giudizio.  
Ebbene nell’immagine di Blake compaiono e permangono i bisonti: animali che corrono, numerosi, in mandria, e travolgono qualsiasi cosa, la triturano e fanno tremare la terra. Chi sono i bisonti oggi? I bisonti non soltanto entrano nei negozi di porcellane, ormai attraversano tutto, vanno in lungo e in largo, dilagano. Del loro ottuso scempio fanno spettacolo, creano notizia, partecipano festosamente a quella che viene chiamata società dello spettacolo ma che meglio potrebbe definirsi società del voyeurismo. Una volta dentro, dal voyeurismo non si esce più. La società attuale è strutturata come il panottico di Bentham . 
Ritorniamo all’atto del pontefice. Che strutturalmente si rivela come atto simbolico in quanto interrompe l’immaginario portentoso celebrato dall’era della tecnologia, con le sue dimostrazioni di potenza e di padronanza sul mondo e sulla natura. Nulla di più semplice, di povero e di umile dell’atto. La sua forza consiste nel fatto che possiamo raccontarlo in differenti modi, ma infiniti altri modi rimangono non raccontati. Dall’atto incomincia un racconto ma lo svolgimento non è più prevedibile.  
Potremmo dire che il pontefice si è esposto all’atto di sottrarsi. Mancando a sé, riconsegnando la propria insegna, ha voluto esigere che fossero (gli) altri ad esporsi. Dal punto più alto della responsabilità non rispondo più della vostra assenza di responsabilità. E io stesso mi espongo, senza sottrarmi, alla responsabilità di attuare un atto che lascia in sospeso  l’attribuzione di responsabilità. Insomma: simile movimento propone il rovescio della vanità dell’Io, della sua passione narcisistica, dell’esercizio compiaciuto della potestas
E ancora: pochi si sono accorti che in questo atto pulsa un’infinita ironia e altrettanta generosità. Nell’ironia dico il contrario di ciò che penso, costringendo l’altro a cercare la verità da solo , se davvero lo desidera. Cosicché nell’ironia c’è poco da ridere. Infatti siamo presi per il bavero e sollecitamente invitati a mettere alla prova la nostra nuda soggettività. Ecco perché volentieri ce la svigniamo, e solo dopo che abbiamo evitato il brutto incontro, ridiamo maldestramente. Forse le ideologie, con tutte le loro imprevedibili metamorfosi, ci hanno addestrato troppo bene a ridere, deridere e irridere sbrigativamente, a bacchetta, su comando.  

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